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Il potere ed il grigiore delle parole nella comunicazione d'azienda

Esiste una pagina web, un articolo, un report, una notizia che possano opporsi all'utilizzo della stessa lingua e terminologia logora quando si articolano policy aziendali, approcci o strategie? L’abitudine ad alcuni concetti, parole.

Il potere ed il grigiore delle parole nella comunicazione d'azienda
Il potere ed il grigiore delle parole nella comunicazione d'azienda
23 Febbraio 2016

Ciò che sto per dire in queste righe è probabilmente già stato detto da qualcun altro dall'altra parte del mondo. Perciò se avete fretta o se avete letture più interessanti da fare, fermatevi qui.

Per quanto si cerchi di dire qualcosa di intelligente e nuovo e per quanto si speculi per esempio sulle tendenze del mercato da angolature differenti e da punti di vista originali, si può essere certi che qualunque cosa pubblichiamo è già stata esplorata, spiegata, tweettata o postata da numerosi alter ego in giro per il web. Non sarai il primo.

Il problema qui non è la mancanza di idee nuove ed interessanti. Se avverti il bisogno di condividere il tuo punto di vista, è molto probabile che tu effettivamente abbia qualcosa di eccitante da esprimere e qualche valida lettura per coloro che ti seguono sui social network.

È più una questione di parole. Avendo letto molto a proposito di ciò che è interessante per ciò che riguarda la sfera dei propri affari o che stimola le proprie inclinazioni culturali, si è diventati avvezzi ad un certo tipo di vocabolario. Di conseguenza, quando è il proprio turno di essere produttivi, si avrà la tendenza a ripetere quel lessico e sarà difficile muoversi al di fuori di quell'orizzonte linguistico.

Ciò che tendiamo a fare in modo inconscio (o conscio?) è rimescolare abilmente le stesse parole. Il risultato di tutto ciò è che su di un particolare argomento ci sono molti post, articoli o affermazioni che ne esplorano un lato nuovo o nascosto, ma il concetto principale o la lezione che si nasconde al di sotto non cambia realmente di molto.

Si prenda ad esempio il nostro mondo, quello della comunicazione d'azienda. È (molto spesso) il trionfo degli stereotipi. Esiste una pagina web, un articolo, un report, una notizia che possano opporsi all'utilizzo della stessa lingua e terminologia logora quando si articolano policy aziendali, approcci o strategie? Aggettivi quali trasparente, responsabile, impegnato, integrato... Nomi come fiducia, rispetto, integrità, sfida. Composti quali coinvolgimento degli stakeholder, creazione di valore, soddisfazione del cliente, eccellenza operativa, vantaggio competitivo...

E ancora, ci sono innumerevoli parole e topic che improvvisamente riappaiono dal passato per diventare il mantra della comunicazione degli anni a venire. Sembriamo esserci innamorati di queste parole, dalle quali abbiamo paura di separarci per timore che la gente non ci comprenda: innovazione, storia, globale, talento (non si assumono più persone, si cercano talenti). Di contro, altre pratiche o discipline cadono gradualmente in disgrazia. Cosa è accaduto al “team building” o alla “knowledge management”?
Proviamo a fare un esercizio. Proviamo a visitare il sito corporate di gruppi internazionali e troviamo le pagine dedicate alla missione, ai valori o agli obiettivi. Leggiamo la pagina “la nostra missione” della Società 1. Poi leggiamo la stessa pagina della Società 2, che sorprendentemente si chiamerà “la nostra missione”, Ora proviamo a sostituire il nome della Società 1 con quello della Società 2 in “la nostra missione”. Funziona lo stesso, non è vero?

ll problema è che stiamo tutti tentando di essere simili. Vogliamo essere accettati e temiamo di essere percepiti come quelli strani, lontani dai nostri clienti, investitori, colleghi e dalla nostra comunità in generale.

Ma se la missione e l'intento principale del business è lo stesso, per esempio creare società migliori, costruire città più vivibili, rendere la gente più felice, perché dovrebbe esserci qualche differenza tra ciò che dichiarano la Società 1 e la Società 2?

Il circolo vizioso ci ha riportato dunque al punto di partenza: la grande idea di fondo è la stessa, il proposito è il medesimo, le parole sono identiche. Dunque come posso io, sia come azienda che cerca di spiegare la propria ragion d'essere, sia come individuo che desidera condividere idee sui social media, essere diverso?

Io non possiedo ricette miracolose. Né ho l'idea vincente su “come-rinnovare-la-tua-immagine-aziendale-attraverso-la-rivitalizzazione-del-linguaggio”. È difficile essere decisivi in questo caso come suggerirebbe il content marketing.

Posso solo appellarmi al senso comune e, con attenzione alla comunicazione digitale d'azienda, pensare ad alcuni modi che consentano ai comunicatori di differenziare il loro messaggio, riacquistare personalità per la loro azienda (stavo per scrivere identità J) e dire qualcosa di più accattivante che possa essere inconfondibilmente collegato al loro marchio:

  1. la tua Storia (badate ho scritto Storia con la S maiuscola) è, per definizione, diversa e unica. La Storia della tua società con i suoi successi, i suoi errori, il suo impatto sulla società e il suo intrecciarsi con la Storia del paese. La tua Storia, che sia interessante o meno, appartiene a te. Non la nasconderei sotto tre livelli di contenuti (home> about us> at-a-glance > la nostra Storia)
  2. i fatti, la realtà, gli eventi aiutano ad evitare la retorica dei principi, dei valori e della missione. Ecco perché mi piacciono quelle home page di siti aziendali che non sono solo una mappa di rimandi ad altro ma collegano il visitatore a ciò che è accaduto e che sta accadendo ora: casi aziendali, progetti, report sulle dinamiche industriali e narrazioni. Proprio così narrazioni: “Una storia che sia incentrata su di un determinato evento o incidente pertinente al suo o alla sua vita. Ciò in fin dei conti dà un messaggio univoco”.

  3. Spalancare i confini del proprio territorio lessicale, consentire la libera circolazione delle parole da ambiti diversi quali la filosofia, l'arte o persino la fisica. Questo getterà una nuova luce sul modo in cui descrivi (o potrei dire rappresenti o ritrai) i tuoi modelli, i tuoi affari e la tua gente. Mi piace la definizione di compagnia come “movimento”. E con riferimento agli sviluppi del mercato, non deve sempre essere in termini di “outlook”. A me piace anche “perspective”. Perché non definire il tuo team come cast? Durante i colloqui, esaminiamo quanto il candidato sia flessibile e di ampie vedute, in altre parole valutiamo il suo/sua abilità ad essere interdisciplinare. Il cambio culturale in un'organizzazione è anche un cambio a livello di linguaggio.

  4. Torniamo all'etimologia delle parole. Per esempio la parola “rispetto” deriva dal latino RE (dietro) + SPICIO (guardare), guardare dietro. Mentre la tua strategia è tutta proiettata al futuro (più ricavi, più margini, più prodotti, ecc..) RISPETTO è un momento di dubbio, di ricerca e di riflessione su cosa è stato lasciato indietro. È un concetto estremamente intimo. Non si deve andare semplicemente avanti senza tenere a mente le impronte lasciate alle spalle. Quindi, quando parliamo di rispetto, perché non fare riferimento a ciò che non lasceremo indietro?


In tutti questi casi, anche le parole più abusate recupereranno la loro dignità e lo stesso vecchio profilo societario e la presentazione (digitale) saranno permeati da un nuovo spirito e da una nuova vita.

Al cuore della poetica di Giovanni Pascoli (1855-1912) c'era la convinzione che:

un poeta è colui che esprime le parole che ciascuno ha sulle proprie labbra ma non pronuncerebbe mai”.

La grandezza di poeti, comici, artisti o scienziati non sta forse nell'aver detto ciò che noi abbiamo sempre pensato e sentito ma che nessuno prima di loro è stato in grado di mettere in parole?

Cosa c'è di nuovo in tutto ciò?

Niente in realtà.
 

 

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